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Il momento difficile dell'economia italiana passa anche dalla quantità di aziende che hanno chiuso i loro battenti nel 2023. Il caso che prendiamo ad esempio, questa volta, è quello della Toscana.  Il rapporto tra le aziende di servizi aperte e chiuse nel corso del 2023 è allarmante: sono ben 15mila e 500 quelle che hanno chiuso per sempre. É vero che hanno aperto circa 7mila 200 aziende nuove nel corso del 2023 ma, con le oltre 15mila che hanno chiuso, il saldo è di circa -8.200 ditte in meno. Lo stesso saldo aperture/chiusure nel 2022 faceva segnare numeri di gran lunga: sempre saldo negativo ma ci si fermava a -5.633.  I numeri sono quelli messi a disposizione da Confcommercio, attraverso l'indagine condotta da Format Research.

Il “commercio” arranca
A faticare di più in regione è proprio il settore commerciale, che ha fatto registrare un saldo aperture/chiusure di -4.378. Anche in questo caso diminuisce il saldo tra aziende nuove nate e cessate, si riducono ricavi e occupazione. In questo frangente, con ricavi ridotti, diventa normale che sempre più imprese richiedano soldi in prestito agli istituti bancari. 
Sempre secondo i dati Confcommercio, nel 48% dei casi le aziende hanno chiesto prestiti alle banche per affrontare investimenti a medio-lungo termine e nel 35% per esigenze di liquidità. Tuttavia, oltre la metà delle imprese che hanno ottenuto un finanziamento ha dichiarato di aver incontrato delle difficoltà nell'ottnerlo. La conseguenza principale è stata un maggior indebitamento bancario (29,9%), seguita dalla difficoltà di evadere i pagamenti (18,4%) e una riduzione/rinuncia nel realizzare gli investimenti programmati (5,9%). 

Uno sguardo più ampio
I problemi non sono solo legati al commercio o al terziario in genere. Dopo l’accelerazione nei due anni post-Covid, ora tutta l'economia toscana rallenta, al pari di quella internazionale. L’inflazione, ora in regresso ma molto alta nel 2023, ha penalizzato il fattore lavoro per la contrazione del potere d’acquisto dei salari. In particolare, la rilevante perdita del potere d’acquisto dei salari che nel 2023 ha fatto toccare il 2,1%. Non sembrerà tanto ma questo valore, sommato a quella dell’anno precedente (-5,6%), porta il conto a superare il 7%. Le imprese invece hanno mantenuto inalterati i margini di guadagno, trasferendo sui prezzi di vendita i maggiori costi dei fattori produttivi.

Tanti segni “meno”
A preoccupare è anche il dato della produzione industriale regionale, che nel 2023 ha fatto segnare un brutto -3,4%, contro il -2,5% a livello nazionale fatto registrare nello stesso periodo. Un calo causato da una domanda indebolita, sia a livello internazionale che nazionale, e di costi ancora elevati dell’energia. In pesante flessione invece l’export per quasi tutti i comparti del settore moda: calzature (-22%), maglieria (-13%), filati e tessuti (-12%), cuoio e pelletteria (-9%) e abbigliamento (-7%). Proprio la moda, un tempo “locomotiva” del segmento lusso in regione, è stato il settore a far registrare i dati più preoccupanti. 

 

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