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Tuoni, fulmini e pioggia torrenziale. Il calendario segna il 26 gennaio. Non un temporale come tanti, ma l’ennesimo segnale di un clima che sta cambiando, in Italia e in gran parte d’Europa. Due giorni dopo, la replica: il 28 gennaio. Abbiamo deciso di analizzare più a fondo questi due eventi meteorologici perché dietro quei tuoni e quei fulmini si cela la vera essenza del cambiamento climatico. Ebbene sì: i temporali del 26 e 28 gennaio non sono stati semplici fenomeni atmosferici, ma veri e propri manifesti di un clima che non è più quello di una volta.

La dinamica meteorologica di fine gennaio
Innanzitutto, parliamo di un temporale che si è verificato nei giorni della merla, ovvero quelli storicamente più freddi dell’inverno. La grande quantità di calore immagazzinato nel Mar Tirreno ha generato temporali autorigeneranti sul mare, gli stessi responsabili di eventi alluvionali gravi come quelli delle Cinque Terre nel 2011, della Versilia nel 1996 o di Livorno nel 2017. In sole due ore, tra le 10 e le 12, tra Toscana e Umbria si sono registrati circa 7.000 fulmini, un numero tipico di un forte temporale estivo. In estate, però, c’è la giustificazione del forte irraggiamento solare e del riscaldamento stagionale. A gennaio? Questa giustificazione non esiste.


Non ci sono stati danni immediati o allagamenti importanti ma il fatto stesso che un temporale di questa intensità si sia formato il 26 gennaio. Per generare così tanti fulmini, una tempesta ha bisogno di una grande quantità di energia, che evidentemente era disponibile. Eppure, gennaio dovrebbe essere il mese in cui l’energia termica dell’aria è ai livelli più bassi dell’anno. Senza contare che, due giorni dopo il primo temporale autorigenerante, se ne è formato un secondo altrettanto violento: il temporale del 28 gennaio, per esempio, ha colpito Firenze scaricando sulla città tra i 40 e i 60 mm di pioggia in circa due ore. Secondo il Lamma (Laboratorio di Meteorologia Modellistica Ambientale), si tratta di una quantità eccezionale, non solo per l’inverno. Analizzando i dati di Firenze Peretola, i 62 mm di pioggia registrati rappresentano un record assoluto per il mese di gennaio. Dal 1955 a oggi, la soglia dei 60 mm in 24 ore è stata superata solo 20 volte, di cui appena due in inverno: il 23 dicembre 1958 (62 mm) e il 25 dicembre 2000 (70 mm).

Temperature molto più alte della media
Inoltre, le temperature registrate erano molto più alte della norma: mentre nel gennaio 1981 un evento simile si verificò con temperature invernali (minima di +1°C e massima di +6°C), il 28 gennaio 2024 si sono registrate minime di +8°C e massime di +16°C. Certamente, il cambiamento climatico non si misura con singoli eventi, ma con tendenze di lungo periodo. Tuttavia, questi episodi si inseriscono in un quadro più ampio: mentre il Centro Italia era colpito da temporali con temperature tipiche di metà ottobre, a Livigno (1.800 metri di altitudine) è piovuto per tutta una notte. In un periodo in cui, anche in presenza di un’avvezione calda, ci si aspetterebbe comunque neve. E purtroppo, esempi come questi non sono isolati: le condizioni meteorologiche registrate a fine gennaio ricordano più quelle di un tipico autunno inoltrato, quando il calore estivo viene gradualmente dissipato. Ma qui stiamo parlando della fine di gennaio, nel pieno dell’inverno.

Perché la situazione deve far riflettere
Ignorare questi segnali significa sottovalutare un fenomeno che ci riguarda tutti. Se a fine gennaio abbiamo avuto temporali intensi come quelli di ottobre, cosa potrà succedere in estate, quando il sole tornerà a fornire elevati gradienti di energia? Questi eventi dovrebbero farci riflettere e prendere coscienza della realtà: il clima sta cambiando, e non possiamo permetterci di restare indifferenti. Essere consapevoli del rischio è il primo passo per affrontarlo.

 

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