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Senso e Paesaggio
Don … Don …
È sempre più noto quanto sia importante prestare attenzione alla lettura di quello che i nostri sensi ci raccontino. Il Sommelier, solo per citare un esempio, svolge come primo esame al vino, quello di natura organolettica. Voglio fare un altro esempio. Una volta un meccanico capì il problema della macchina di un mio collega (eravamo in missione a Milano), con il solo aver accostato il telefonino al motore su sua richiesta: noi eravamo in autogrill e lui nella sua officina! I contadini di una volta (ma questo è il terzo esempio…!) capivano il variare del tempo dal profumo che si alzava da terra.
Oggi, viviamo di un appiattimento collettivo mai registrato e può succedere che ci rendiamo conto del bel tramonto solo perché il nostro vicino di casa ha messo da pochi secondi una bella foto su Facebook e magari gli scriviamo: ”Bellissimo… dove sei?” Il rinverdirsi del legame che ci dovrebbe legare alle nostre percezioni sensoriali ci può portare a ritrovare la sensibilità che abbiamo perso. Il rapporto fra paesaggio e sensazioni ha una valenza energetica incredibile. Potrei dire che certi paesaggi “facciano bene”. Altri no, come per esempio quegli ambiti urbani in cui le nostre letture sensoriali, anche quelle che risultano meno evidenti, catalogano come cacofonica la miscellanea dei loro suoni e dei profumi.
Diciamo che molto spesso succede che quei profumi, anzi, meglio, quegli odori (cattivi), certi rumori, particolari visuali e perché no, certi sapori, vadano a depauperare la qualità della vita in generale, soprattutto in circostanze nate e sviluppatesi da processi di natura antropica. Per capirsi, pensiamoci calati in una qualsiasi area industriale, dove le troppe luci, lo smog, gli odori, il caos del traffico ecc… portano ad annullare il piacere che le nostre percezioni ci potrebbero dare. Le percezioni stesse, si alienano.
Pensiamoci ora in un ambiente naturale, non voglio dire per forza su un crinale ad almeno due mila metri: in un bosco, vicino ad un fiume, in un bel parco… Ecco che torniamo a sentire le diverse modulazioni dei cinguettii che arrivano dagli alberi, camminiamo e sentiamo sempre più vicino il rumore di un ruscello, a seconda delle essenze vegetali che ci stanno intorno percepiamo odori differenti. È una questione di paesaggi sensoriali, di analisi percettive e cartografie tematiche, di “Senso e Paesaggio”, come il titolo del libro della Prof.ssa Michela Moretti, edito da Franco Angeli.
C’è chi studia ed analizza le micro realtà, ma noi sappiamo che con poco sforzo riusciamo a tornare a discernere quelle aree dove la qualità della vita è elevata, dove permangono suoni ed odori identitari. La naturale individuazione di impronte sonore, olfattive, sensoriali in genere, ci porta a discernere l’aspetto identitario del paesaggio: il fiume, il bosco, per l’appunto, che si possono legare a poche e particolarissime azioni di natura antropica come magari il suono delle campane, ormai facenti parte della memoria storica del nostro DNA. Possiamo dire che esistano percezioni che da sole creano veri e propri paesaggi. La riscoperta di nuove-vecchie sensazioni porta ad innalzare la qualità della vita.
L’assorbimento acustico delle città ha fatto sì che il legame con le campane sia solo questione di chi viva a stretto raggio della chiesa di quartiere. Le campane segnavano lo scandire delle ore, delle feste, oppure davano l’allarme. Chi vive senza campane, il mio non è certo un ragionamento di natura confessionale sia chiaro, vive senza conoscere il passare del tempo. Non dare importanza al tempo che passa, non va certo bene. In molti posti, invece, succede che si sentano le campane del proprio paese e poco dopo le campane di quello vicino. Dicono la stessa ora, a distanza di pochi secondi di differenza, ma la cantano in maniera diversa, per timbrica, ritmo, suono, vibrato, sfumature e, a seconda dell’orario, ci tornano alla mente precisi profumi o sapori.
Per non parlare dei ricordi…
“Don … Don … E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!”
Tratto da “La mia sera” di Giovanni Pascoli
Architetto David Ulivagnoli
Studio principale in San Marcello Pistoiese
Piazzetta Bruciata n° 25
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Nella foto “Campana Tellurica” di ADU
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Ho avuto il piacere e l’onore di lavorare come insegnante per tanti ragazzi. Queste esperienze le ho sempre ritenute più formative per me che per loro. Ho sempre cercato di fare spiegazioni non troppo rigorose anzi, il più elastiche possibile, infarcendo l’argomento trattato con le mie esperienze personali, anche per rendere più interessante la lezione. Una su tutte mi è rimasta impressa, perché non l’avevo preparata e nacque nella maniera più spontanea. Quella mattina c’era il compito in classe. Volevo “regalare” ai ragazzi un bel voto. Insegnavo Arte in una scuola di montagna, appena ristrutturata, bella, moderna e soprattutto con una Luce incredibile! Ogni aula aveva una parete completamente vetrata ed ognuna di queste guardava a Sud-Ovest riuscendo a proporre, soprattutto in Primavera, una incommensurabile quantità di verde, in tutte le sue tonalità, profondità e qualità: si partiva dal verde del prato della scuola, e poi siepi, cespugli, alberi che si andavano a perdere fino allo skyline delle montagne più lontane. Solo vegetazione, non si vedeva una casa né una strada. Verde… ed il cielo ovviamente.
Per deformazione professionale, penso che un essere umano che vive in un loculo in una metropoli come ad esempio Honk Hong e che fuori vede fuliggine e tristezza, senza poter andare in un campo a giocare o a fare due passi, sia messo molto peggio rispetto a chi vive in una Metropoli Rurale come quella dell’Alto Reno.
Quindi, dicevo, volevo fare loro un regalo, avevo deciso di dare un compito facile! Chiesi ad ognuno di disegnare ciò che vedesse dalla finestra. Fra me e me pensavo che avrei permesso loro di tutto: dal disegnare un gruppo di alberi, o una singola foglia, un ciuffo d’erba, il profilo dei monti, una serie di macchie o di scarabocchi verdi, per dire, ed avrei volentieri anche accettato la scusa dell’ispirazione alle correnti pittoriche astratte, da poco spiegate. Detti il titolo e mi misi a compilare i registri: elettronico e cartaceo. Me la volevo prendere con calma. Avrei avuto due ore a disposizione. Quando si disegna, almeno così è per molti, ci si rilassa, siamo più leggeri e più disposti a chiacchierare non solo con il compagno di banco… feci caso, invece, al forte immobilismo che aveva preso ogni studente. C’era un gran silenzio, alzai gli occhi e vidi tutti fermi, un po’ tristi.
“Che fate, siete bloccati? Troppo difficile eh?”, scherzai. “Sì”, “In effetti…”, “A me non mi riesce!”, “Non so da che parte rifarmi…”. Tutti più o meno risposero così. Credevo scherzassero, invece erano piantati davvero. “Prof. non c’è niente fuori dalle finestre… è un muro di verde!” Ci rimasi malissimo, credevo di aver fatto loro un piacere, invece li avevo messi in crisi. La stessa cosa successe anche per le altre classi nelle ore o giorni dopo, più grandi o più piccoli fossero stati gli studenti, il problema rimaneva lo stesso. Passò per caso dalle finestre un merlo planando.
“Potete disegnare un animale fra quelli che di sicuro sapete che ci sono nel bosco”, provai a destarli dalla loro empasse. “Più in la c’è un pollaio… disegnate il gallo con tutti i colori che avete!”. Non lo dissi a caso, avevo degli esempi da far vedere, loro vista la mia conosciuta passione per i disegni a mano libera. Mostrai loro dal computer la foto di un mio disegno a pantone pubblicato pochi mesi prima: era proprio un gallo dai mille colori. L’ elaborato piacque molto, ma erano rimasti bloccati sul verde. Decisi di lasciar perdere il compito e mi misi a chiacchierare.
Mi venne in mente il fatto che la loro generazione era abituata a vedere tutto, ad aver visto tutto, quindi dovevano o potevano mettere in pratica neanche la fantasia, ma solo la memoria. Già a dieci anni, oggi, si può aver “passeggiato” (meglio dire “navigato”) per Piccadilly Circus (Londra) o per la Grande Muraglia (Cina). Si può essere stati sul Millennium Falcon (del film Guerre Stellari) o aver giocato una finale di mondiale di calcio… e tutto questo con il solo smart-phone, al caldo di ambienti domestici, sorseggiando te freddo!
Ogni teenager di oggi potrebbe recitare, con la dovuta credibilità, il famoso monologo del replicante Roy Batty, interpretato magistralmente da Rutger Hauer in Blade Runner: “Ho visto cose che voi umani non potreste neanche immaginare: navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i raggi Beta balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia…” Partendo dal fatto che come architetto per me è molto naturale entrare in molte case, feci un parallelismo fra loro e dei ragazzini di cui avevo visitato le rispettive case d’infanzia. Certo, ragazzini di qualche anno addietro.
La condizione dell’infanzia dorata o felice, in ambienti domestici caldi e puliti che oggi è assicurata fortunatamente ai più della parte occidentale del mondo, già ottanta anni fa era questione di buona sorte che capitava solo ai nobili ed ai ricchi, quindi a pochi fortunatissimi. Figuriamoci qualche centinaio di anni fa! In casa, a quei tempi, d’Inverno c’era freddo, umido. Si mangiava poco e non avevano ancora inventato il Pile per i maglioni, o il Goretex per le scarpe. Quindi neanche la domotica, tanto meno l’energia elettrica, il riscaldamento radiante a pavimento o gli infissi a taglio termico. A proposito di infissi, andava di lusso quando si poteva vedere fuori, perché i vetri di solito erano annebbiati per la condensa o cristallizzati dal ghiaccio che anche in casa entrava molto facilmente.
Quando sono stato a visitare la casa di questi due ragazzini, in momenti diversi dei miei vent’anni, certo non pensai a quello che ho appena scritto nelle righe sopra. Quel giorno a scuola però mi venne in mente in un lampo. Questi ragazzini a cui faccio riferimento, avevano vissuto un’infanzia come gli altri bimbi dei loro tempi. Si affacciavano alla finestra dal dentro di una cucina (mi immagino) riscaldata dal grande camino, buia e sicuramente scomoda. Dai vetri poco trasparenti avranno visto sicuramente anche loro un muro di verde, visto che ancora il mondo moderno doveva essere ancora pensato e quindi costruito.
Le case dei ragazzi di cui parlo, erano ben lontane da quella che allora sarebbe potuta essere la New York o la Doha di oggi. Da Caprese o da Vinci arrivare a Firenze non era così immediato come oggi. Eppure questi due ragazzi, non annoiati dalla televisione, o dal web o alienati da passatempi elettronici vari, guardando il loro muro verde riuscirono ad immaginare il futuro dell’Umanità. Leonardo e Michelangelo tracciarono la Rinascita dell’Umanità, presero l’eredità del Brunelleschi e la proiettarono verso mete mai pensate e stupefacenti anche oggi. Quella mattina provai a parlare del Rinascimento visto con le potenzialità e gli occhi di un ragazzino dotato di grandi qualità, come anche i nostri ragazzi sicuramente hanno.
Sicuramente di Leonardo e Michelangelo, la Storia ne ha visti ben pochi ed il paragone con loro deve essere inteso come stimolo e non certo come elemento deprimente. Non è certo detto che se non si arrivi a concepire la regola dell’ UOMO VITRUVIANO non si possa avere un grande potere di immaginazione od altra predisposizione che ci possa rendere contenti e soddisfatti. Pare, infatti, che Leonardo non sapesse fare proprio tutto tutto, si dice che fosse molto bravo a disegnare ma che come musicista lasciasse parecchio a desiderare. Scherzo, ovviamente.
Per deformazione professionale, penso che un essere umano che vive in un loculo in una metropoli come ad esempio Honk Hong e che fuori vede fuliggine e tristezza, senza poter andare in un campo a giocare o a fare due passi, sia messo molto peggio rispetto a chi vive in una Metropoli Rurale come quella dell’Alto Reno. Dal mio modesto punto di vista penso che, pur a discapito dello schiacciante rapporto di densità abitativa fra una metropoli urbana ed una rurale, sia più facile che il futuro Leonardo nasca dalle nostri parti dell’ Alto Reno e che qui abbia i migliori stimoli possibile per crescere: quelli alla vecchia maniera della serenità necessaria ad un bimbo, intendo, del rapporto con la Natura e con il prossimo, dell’affacciarsi alla finestra per vedere se l’amico è puntuale, del profumo della ripresa vegetativa a Marzo, del calcio ad un pallone nel fango a qualsiasi ora, non per forza il Martedi ed il Giovedi dalle 18 alle 19:30 sul sintetico della scuola calcio di quartiere.
PS: Rivolgendomi ai più giovani ho sempre scritto al maschile singolare o plurale. Solo per abitudine comune e generalizzata. Non certo per sessismo, elogio di genere o chissà cos’altro. Per un motivo ben preciso, se devo pensare ai giovani, ragiono al femminile.
Nella foto “E’ l’ora” tratto dalla raccolta -Bestiaria- di ADU
Nella foto “Uomo Vitruviano figure e colori” tratto dalla raccolta -Geometria- di ADU
Architetto David Ulivagnoli
Studio principale in San Marcello Pistoiese
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Gli studi sui flussi e sui desideri delle persone, che si leggono anche dalle proiezioni riportate nel sito internet di Metropoli Rurali Alto Reno, mettono ai primi posti il volersi allontanare dalle città. Le contingenze sono plurime, sicuramente il doversi porre dietro le mascherine, non pirandellianamente parlando, ha tracciato un nuovo limite, una vera barriera psicologica, che ha portato ad annientare gli orizzonti ed ha fatto nascere ad una nuova, forzata, frontiera introspettiva. Molti sono alla ricerca del proprio sé: contemporanei Diogene che agitano nel buio della intronautica un lumicino, cercando di rettificare la strada da percorrere.
Identità di luogo e identità personale si cercano quotidianamente evidenziando una stretta relazione tra caratteristiche ambientali e stati emotivi: diviene, quindi, indispensabile la ricerca di luoghi che producono benessere alle persone. Nel 1941, durante il suo discorso alla Camera dei Comuni, quando la Camera dei Comuni stessa venne distrutta dal bombardamento nazista e si doveva decidere la forma e la modernità della futura sede della Ricostruzione, Wiston Churchill disse: "We give shape to our building, and they, in turn, shape us” - "Diamo forma alle nostre ostruzioni e loro, in cambio, ci formano”
Nel 1958, negli Stati Uniti, tra l'architetto Miller e lo psicologo Wheeler nasce una collaborazione atta a realizzare nuove tipologie spaziali capaci di offrire risposte uniche studiate appositamente per i loro clienti. La casa è lo specchio del mondo in cui viviamo, rappresenta uno spazio privato intimo intriso di molteplici significati simbolici che la rendono specchio e riflesso della nostra identità psichica: è quel luogo in cui ci rifugiamo, in cui carichiamo le batterie per affrontare la quotidianità, in cui ci sentiamo più protetti e sicuri di poter Essere Noi Stessi. La nostra casa però oltre che a rispecchiare il nostro stato d’animo ottimale, dovrebbe anche ritrovarsi nel e con il contesto in cui la stessa è calata.
Uscire di casa, quindi, non dovrà più significare l’annientamento della tranquillità ormai trovata. Nelle migliori fra le ipotesi sarà il continuum psicologico della serenità trovata o ri-trovata. Andare fuori dal nostro ambiente domestico dovrebbe significare il poter vivere una vera gioia che potrà portare ad aumentare il livello di serotonina dell’organismo. Ecco che si delinea come aspetto come non mai fondamentale il rapporto fra dentro e fuori, IN & OUT, sia per una questione legata alle esigenze abitative, sia per un riscontro di quelle psicologiche. E quindi ci affacceremo ad una finestra non per tracciare una distanza fra noi ed il nostro prossimo, per sentirsi più soli, ma per andare ad incontrare con lo sguardo il passare delle stagioni e, aprendo i battenti, poter sentire con l’olfatto i profumi e la temperatura stagionale. Non il gas di scarico ma il profumo della mattina presto, l’odore della terra, lo sfalcio dell’erba di un giardino.
Potremmo riuscire a creare veri e propri equilibri fra dentro e fuori facendo sì che le nostre finestre o porte finestre diventino un vero e proprio filtro comunicativo fra gli ambienti, nonché un catalizzatore di emozioni, proprio contro l’appiattimento che certi ambienti periferici ed alienanti impongono. Forse stiamo assistendo ad un vero e proprio come back to the roots (ritorno alle origini), ad un fenomeno opposto a quello della Rivoluzione Industriale di fine 1700 che vedeva lo spopolamento delle campagne a favore della vita in città, perché, scoprendo che si può lavorare in casa e da casa (pare che molti siano disposti a chiedere un ribassamento dello stipendio pur di continuare a lavorare da casa, fonte La Repubblica), non è detto che risulti più conveniente che la nostra casa debba per forza essere nella zona meno distante dal luogo in cui lavoriamo. Quindi, la casa, ce la scegliamo dove più ci piacerebbe vivere!
Mi sia concessa una riflessione sulla questione distanza. Quella che separa la Metropoli Rurale dalla metropoli più vicina (che certo non può essere Bologna, per questioni dimensionali dico, ma neanche la cosiddetta area metropolitana Pistoia-Prato-Firenze non è certo Roma o Milano, quelle sono vere metropoli urbane), è più una distanza che si patisce in maniera psicologica anziché in termini di percorrenza. Quante volte avremo sentito dire con un senso di sofferenza tangibile: ”la prossima settimana dovrò andare a Pistoia…”. Conoscevo un signore che lavorava a Novoli (FI), tutte le mattine riusciva a metterci meno tempo ad arrivare a lavoro partendo da Pracchia, rispetto ad un suo collega che abitava a Firenze Sud. Un altro mio amico di Milano, esultava qualche anno fa perché aveva trovato lavoro vicino a casa: per lui vicino voleva dire un’ora e un quarto di metropolitane e autobus.
È proprio vero che i punti di vista possono cambiare le cose anche in maniera importante. Possiamo riappropriarci, quindi, della nostra condizione geografica ideale. Oppure dobbiamo farlo se siamo costretti a farlo per vedere di arginare le spese. Magari prendiamo la decisione di avere una casa di proprietà e scopriamo che in certi posti il prezzo €/mq risulta essere molto basso: possiamo, quindi, cambiare vita! Con un minimo di progettazione, lo studio personalizzato dell'interior design e le giuste soluzioni che trovino amalgama con l’esterno, possiamo trasformare delle semplici mura in un rifugio di Benessere. Possiamo al contempo ragionare in termini di IN & OUT e cercare di far sì che si riesca a trovare la migliore continuità nei diversi ambienti.
L'aspetto psicologico legato al vivere è fondamentale. Il benessere psicofisico trova un forte potenziamento se la casa dove voglio vivere si trova nel posto ideale: così trova bilanciamento il proprio equilibrio, permettendo alle emozioni di farci vivere ogni esperienza. Diventa, quindi, fondamentale riuscire a trovare il modo di crearsi un proprio mondo, un personalizzatissimo modo di vivere su Misura, la nostra. Qualcuno pensa che gli stimoli migliori anche per la fortificazione della nostra personalità, o per la crescita professionale o per chissà quale altro motivo, si possano trovare in una grande metropoli urbana.
Non è detto che sia per forza così.
ADU
Nella foto In & Out un progetto del 2010 di trasformazione di una stalla in civile abitazione, curato dallo Studio ADU
Architetto David Ulivagnoli
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- Di Andrea Kozul Bini
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La nostra redazione dà il via ad una nuova collaborazione.
Siamo orgogliosi di poter contare su una figura importante, non solo per la nostra Metropoli Rurale, siamo contenti di poter collaborare con una vera e propria voce autorevole, l’Architetto David Ulivagnoli.
Una Laurea, due diplomi e tre Master, musicista, fotografo, insegnante ed ex amministratore pubblico, esperienze professionali ed artistiche maturate in tante parti del mondo … e poi?
“E poi, soprattutto, vengo dalla Montagna! È ormai il mio motto, lo dico sempre con un crescente senso di orgoglio per l’appartenenza. Ho lavorato da tante parti, in Italia e all’estero, ma, per citare un amico e maestro che purtroppo non c’è più, mi sono sempre ritenuto un cosmopolita campotizzorino!”
Uno con il tuo profilo dovrebbe stare a Milano, in una grande città, o a Londra dove hai avuto per anni lo studio, dico bene?
“Infatti non abito in una grande città, ma in una metropoli, seppur rurale… (ride ndr). Ho avuto lo studio a Londra, dici, bene, ho avuto importanti esperienze là ma anche in altre parti del mondo, ma non ci sono mai voluto stare in pianta stabile.”
Hai fatto progetti importanti. Uno, che ha avuto un certo clamore mediatico, mi riferisco ad Elba Tunnel, l’altro, che hai tenuto in sordina, il progetto Perfect City in Cina.
Per chi ci legge specifichiamo:
Elba Tunnel è il progetto, con incarico Londinese, che avrebbe visto il collegamento stradale fra la terza Isola italiana e la nostra penisola.
Perfect City, una città da due milioni di abitanti con incarico ricevuto a Pechino.
Non abitavi né a Londra, né a Pechino, eppure coordinavi tanti professionisti, non è così?
“E’ proprio così. Abbiamo fatto qualche riunione in presenza, ma solitamente ci incontravamo tramite web calls. E tutto questo prima del Covid. Perfect City è del 2012/2013, Elba Tunnel del 2018/2019.”
Quante persone hai coordinato?
“Onestamente tante. Siamo fra quelli che abbiamo sperimentato lo smart working ante litteram. Per Perfect City il nucleo operativo era di 5 professionisti nel mio Studio, più una ventina di collaboratori fuori.
Per Elba Tunnel molti di più. Fra i professionisti direttamente interessati e poi i collaboratori dei collaboratori, si superavano le 50 unità.
Mi ricordo che con il nucleo delle Paesaggiste di Landscape Studio, per riunirsi sul web dovevamo fare molti ragionamenti visti i fusi orari intercontinentali da non poter sottovalutare!”
Quindi in Montagna, anche tu confermi che si possa lavorare?
“Certo che sì, dipende dai lavori ovviamente. Le tecnologie ci hanno fatto fare un salto avanti verso il futuro incredibile. Il telefono in primis, è una grande arma. Va sfruttato bene. Ai miei studenti, soprattutto a quelli più giovani, dico che rispetto alle generazioni fino agli anni 70 del 1900, noi oggi si può essere considerati dei maghi veri e propri dotati di una bacchetta magica potentissima. La nostra bacchetta magica è il telefono. Bisogna stare attenti, però, a far sì che da maghi non si diventi schiavi del cellulare… Faccio due soli esempi: se ieri sera non avessi avuto il cellulare, non avrei potuto leggere in anteprima un incredibile articolo che un grande ricercatore, antropologo, intellettuale, ma soprattutto amico Simone Fagioli, mi ha fatto il piacere e l’onore di inviare direttamente dal Monte Amiata dove risiede assieme a sua moglie Anna. Senza il cellulare non avrei il musicista e compositore, Maestro ed anche lui amico Michelangelo Ricci che dalla Grecia mi invia le sue composizioni o incisioni demo in preascolto per avere un mio punto di vista.
Quindi: in Montagna si può lavorare alla grande, con grandi professionisti ed alla grande ci si può divertire e stare insieme, secondo la concezione più moderna della condivisione.”
Noi da sempre pensiamo che la Metropoli Rurale Alto Reno possa diventare un esempio per il futuro, tipo una Silicon Valley, come è successo negli U.S.A., sei d’accordo?
“I nostri posti sono stati storicamente dei grandi esempi. Quindi, per vocazione, i nostri posti e la nostra gente c’è abituata. Cito al volo, la grande Fabbrica della S.M.I. con gli Orlando, poi la fabbrica dei Turri, o la cartiera dei Cini hanno fatto la storia del 900. Nel Rinascimento i Medici facevano arrivare il ferro in Montagna dall’Isola d’Elba perché fosse lavorato. San Macello era una delle tappe del Grand Tour per gli studiosi del 700 e 800, i Fratelli Montgolfier su tutti hanno lasciato un grande contributo (il pallone di Santa Celestina ndr). Pochi sanno che proprio a Maresca il CAI in un convegno, ha elaborato nel 1950 la segnaletica sentieristica unificata, o che dal dopo guerra sono state gettati le basi della vivaistica moderna con i lavori di impianto e di sistemazione idraulica alla Foresta del Teso… mi fermo con il più recente grande esempio del Dynamo Camp, ma potrei andare avanti ancora per un po’. Quindi: certo che potremmo diventare un esempio, anzi, dico meglio: ci dobbiamo sforzare per continuare ad essere di esempio.”
Sei stato amministratore pubblico per 10 anni presso il comune di San Marcello Pistoiese (2002-2012), prima Consigliere Comunale, poi Assessore è li che hai imparato a conoscere il territorio?
“Prima ancora sono stato Presidente della Nuova Pro Loco di Campo Tizzoro, per tanti anni. Diciamo che ho imparato a conoscerlo “meglio” il nostro territorio. Conosco gli anfratti, la gente, sono da sempre stato un grande appassionato dei nostri posti, più che un fan, quasi un ultras, direi. Facendo l’amministratore pubblico ho imparato l’importanza della governance, la necessità di andare oltre il campanilismo stretto fra le borgate, e pensare di più in termini più territorialmente più estesi. Quello di Metropoli Rurali, mi sembra un bell’esempio.”
Torniamo al tuo lavoro, al quale riesci a dare tante diverse sfaccettature. Per il lavoro che sei riuscito a costruirci intorno, soprattutto dal punto di vista Marketing e Pubblicitario, potrei azzardare a dire che quello del Museo S.M.I. di Campo Tizzoro sia il lavoro che più ti abbia maggiormente coinvolto e che risulti meglio riuscito? Per far venire “voglia” ad eventuali investitori, non hai fatto “solamente” l’Architetto: hai organizzato convegni, scritto due libri, realizzato con tanti enti in primis l’Istituto Luce un vero e proprio Documentario in un DVD, coordinato ricercatori, volontari e progettisti, mi ricordo un sacco di articoli ed interviste sui giornali e riviste, le televisioni…
“Fino ad oggi, indubbiamente è così. Ma si sta parlando della Gallerie S.M.I., ovvero di un bene veramente unico e straordinario. Ho voluto metterci la faccia in un percorso incredibile che poteva terminare felicemente già solo nella prima volta, dopo anni di insistenze, che sono stato accompagnato giù nelle gallerie in maniera ufficiale. Però, mi ricordo come se fosse ora, maturò subito la vera e propria esigenza che il tutto dovesse essere trasformato in un Museo. Così alla fine è successo. Tutto sommato direi anche abbastanza velocemente. È sicuramente vero che c’ho messo la faccia e tutti, allora, avrebbero indicato me come responsabile di eventuali ritardi o insuccessi, però ricordo quegli anni all’insegna della coralità, del lavoro di tanti che hanno dato grandi contributi. Dalla Pro Loco di Campo Tizzoro, il Gruppo di Studio Hypogeum, la dirigenza KME, Dynamo Camp, tante, veramente tante persone che si sono date da fare, fino all’arrivo dell’Istituto Ricerche Storiche e Archeologiche di Pistoia che ha stanziato i fondi economici per la trasformazione a Museo. Non cito nessuno direttamente proprio perché la lista sarebbe enorme. Ho rischiato e abbiamo rischiato l’insuccesso, era sempre dietro l’angolo. Ma alla fine, ci siamo riusciti. Dopo il mio discorso alla grande cerimonia di inaugurazione nel 2012, I.R.S.A. ha iniziato il suo percorso professionale in autonomia. Spero che il Museo Rifugi S.M.I. diventi quello che si merita e che oggi ancora purtroppo non è. L’emergenza sanitaria certo non ha dato una mano… anzi! Quello è un posto che si merita 5 pullman granturismo di visite al giorno, ne ha tutte le carte in regola.
Hai sempre creduto nel Gruppo, nel Team. Anche in altre interviste ti ho sentito parlare al plurale…
“E non è certo un plurale majestatis! Il Team è tutto. La figura del tuttologo è fortunatamente sorpassata. Bisogna essere fiduciosi nel lavoro altrui ed anzi, cercare che gli altri si sentano nella condizione ideale per dare del loro meglio. Mi sono formato cercando di prendere dai migliori e cercando di apprendere sempre cose diverse, voglio dire l’esperienza è fondamentale e non a tutti piace riconoscersi nel ruolo del coordinatore o project manager che dir si voglia. Faccio una anticipazione, Dario Sabatini, Social Media Manager ma soprattutto collega, collaboratore e amico, sta per uscire con una sua pubblicazione relativa al mondo del Marketing, dove ha sottolineato l’importanza che io ho sempre dato al Team, tanto da scrivere che il mio Studio è una vera e propria Factory.
Hai avuto un passato da professionista nella musica e nella fotografia. Sei Architetto e ci fai vedere dei disegni a mano libera emozionanti. Spesso sui social posti immagini fotografiche eccezionali (raccolte anche nel libro “Cuore Appenninico” con Alberto Tognelli che proprio noi di Metropoli Rurali abbiamo lanciato per primi) o dedichi al tuo pubblico dei brani eccezionali dove te canti e suoni il piano… da uno che ha fatto il Conservatorio, da professionista, appunto. Eppure leggiamo nei vari commenti ai tuoi post o sulle varie recensioni che non ti piace essere chiamato Artista, come mai?
“Semplicemente perché non mi ci sento. Come scherzavo proprio pochi giorni fa su Facebook con il grande amico Alberto Tognelli, che mi definiva artista a tutto tondo, ti dirò che mi sento più un artigiano dell’Arte. Vedo come Artista colui il quale riesce a dare un vero contributo di originalità al mondo dell’Arte: inventando una corrente, per esempio. Vedo Artista chi ha il coraggio di spogliarsi di tutto e di seguire solo il suo ideale artistico: fai il pittore? Bene, fai il pittore e basta! Io questo coraggio non l’ho mai avuto, forse per colpa delle mie numerose passioni ed iniziative che ho sempre voluto portare avanti anche dal punto di vista del rigore professionale e di studi da fare. Diciamo che la mia cifra stilistica sia proprio questa: il voler riuscire a vedere le cose da più punti di vista contemporaneamente. È sicuramente un dono, ma per certi versi anche una dannazione. Credo che l’Artista non debba avere piani B, paracaduti o diverse possibilità o skills alle quali aggrapparsi in caso di fallimento.”
Continuo a pensare che il tuo personaggio possa e debba dare molto di più alla nostra Metropoli Rurale.
Ora molto di più di quando sei stato amministratore. Hai un’ aria da englishman, una preparazione ed una serie di esperienze uniche, eppure ti cali perfettamente nel luogo del montanaro e ti riconosci nel logo I Love MP (Io amo la Montagna Pistoiese) che metti sempre sui social ed hai un seguito incredibile. Sembra che tu stia lavorando per rientrare in politica, sbaglio?
“Sbagli, scusa la franchezza, ma sbagli di brutto (ride, ndr). Non che rinneghi, ci mancherebbe. Non nego che in tanti fra appartenenti a forze politiche o civiche diverse mi continuino a cercare di farmi tornare la voglia. Credo però che si possa dare tanto anche senza il filtro della campagna elettorale. Per dare un contributo ai nostri posti basta volergli bene, avere rispetto e non denigrarli perché “di là è meglio”. Mi aspetto per i prossimi anni un ripopolamento dei nostri posti, per una serie di motivi, in primis quello economico. È vero che in montagna si spende di più per il riscaldamento e per gli spostamenti, ma la qualità della vita dove la mettiamo? Per venire alla questione del logo I Love MP. La mia è stata una rivisitazione dell’ I LOVE NY che l’artista Milton Glaser disegno a fine anni 70 per New York. Ti dirò che mi sembra non sbagliato che si associ la Grande Mela con la Montagna Pistoiese o se vuoi con la Metropoli Rurale… è un confronto fra metropoli! Però da fare con criterio ed ovviamente con rispetto, stando attenti a riuscire a cogliere l’importanza del particolare con una visione più ampia delle cose. Sono sempre stato forte ed orgoglioso del posto da cui vengo. Il mio amico Paolo Cinotti mi chiama spesso David da MP. La prima volta che lo ha scritto sui social, a vedermi chiamare così mi è sembrato di ricevere un bel regalo.”
Salutiamo David ringraziandolo per la sua solita disponibilità al confronto, certi che i suoi contributi portano un valore aggiunto alle nostre zone, consapevoli che i suoi approfondimenti saranno all’insegna del grande amore che prova per la Montagna e per la nostra Metropoli Rurale ma naturalmente arricchiti dai suoi continui studi e dal suo essere veramente professionale, preparato, artistico e cosmopolita come pochi si possono permettere di essere.
Architetto David Ulivagnoli
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