Gli inglesismi non ci fanno impazzire, ma diventa difficile trovare una traduzione idonea ed immediata al concetto di “City Quitters”: proviamo a tradurlo come “Lasciatori di Città” (si, suona meglio City Quitters!).
Una volta datogli il nome giusto diventa ancor più importante definire cosa sono: persone che, per scelta o necessità, cercano rifugio in quella vasta parte di mondo che non è città, vale a dire il 98% della crosta terrestre.
Campagne, aree rurali, colline, montagne, agglomerati urbani con poche centinaia di abitanti, massimo qualche migliaio: l'importante è fuggire dalle grandi città.
I grandi agglomerati urbani sono sempre più visti dagli stessi residenti come spazi claustrofobici, stressanti, affollati, inquinati, iper-sorvegliati e pure molto dispendiosi.
L'intero concetto di “città” è oggi in discussione. New York, Parigi e Londra stavano già vedendo una diminuzione della popolazione residente prima della pandemia, poi le cose sono tutt'altro che cambiate e la gente ha continuato a fuggire. La possibilità di fare smart-working ha accentuato questa tendenza all'allontanamento dalle grandissime città.
L'autrice Karen Rosenkranz, scrittrice del volume “City Quitters”, ha fatto scalpore con la sua opera: è stata lei a disegnare e teorizzare prima degli altri la dinamica della fuga dalle città attraverso il ritratto di 22 storie personali di abitanti che dalla città sono emigrate nelle aree rurali di tutto il mondo.
Ma perché le persone scappano dalla città? I motivi, secondo Rosenkranz, sono molteplici. «Il costo della vita nelle grandi città è diventato troppo alto, soprattutto per i giovani. Poi ci sono una serie di motivazioni legate alla sostenibilità e all’ambiente: il bisogno di contatto con la natura e di aria pulita, ancora più apprezzata adesso che il Covid-19 ha riportato l’attenzione sull’importanza del respiro, ma anche una certa insofferenza per il paesaggio costruito».
Poi, a spaventare chi lascia la città c'è anche forte dipendenza esterna per la propria esistenza. «Un fatto – continua Rosenkranz – divenuto molto evidente proprio durante il lockdown: la totale dipendenza delle aree urbane da catene di approvvigionamento esterne. Durante la pandemia è stata messa in discussione la sicurezza alimentare che abbiamo sempre dato per scontata. Ricordate i supermercati semi-vuoti? Chi ora sceglie la campagna cerca anche un nuovo senso di controllo sul proprio sostentamento, che persino un piccolo orto può contribuire a rafforzare». Orto o, aggiungiamo noi di Metropoli Rurali, anche un boschetto in cui poter tagliare (con criterio e senza sprechi) legna da ardere per l'inverno, in questi tempi di caro-gas e caro-energia.
Occorre aggiungere, all'equazione, anche la questione climatica: le aree rurali sono mediamente meno calde e afose di quelle urbane, specialmente d'estate. Il divario tra comfort climatico di città e aree rurali si allarga ancora di più se ci si sposta in collina o in montagna.
Un'altra analisi interessante è quella che porta molti giovani, specialmente i più “creativi”, a non trasferirsi in montagna o collina necessariamente per gli agricoltori o allevatori: semplicemente portano (o hanno appena iniziato a portare) lo spirito della città altrove, fuori. Una dinamica che sta (molto lentamente, in Europa) iniziato a generare un interessante rimescolamento sociale.
Un esodo dalle città? No, non ancora. Forse nemmeno una vera e propria migrazione. In Italia e in genere in Europa si tratta di un processo lento, che al momento stiamo solo vedendo su scale locali. Ma la lunga fase post-pandemia (intesa come Covid-19 del 2020, non della pandemia in generale, purtroppo...) è appena cominciata e siamo certi che il fenomeno dei City Quitters diventerà ancora più caratterizzante nei prossimi mesi.
Noi di Metropoli Rurali torneremo presto sull'argomento.